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Psicoterapia e Pasqua: morire un po’ per rinascere diversi

da | 10 Apr 2025

Pasqua è molto più di una festa religiosa. È un archetipo. Un tempo che parla di passaggi, di cicli, di trasformazione profonda. E per chi vive o accompagna un percorso terapeutico, sa bene quanto il simbolo pasquale racconti esattamente ciò che accade, spesso in silenzio, nelle stanze della cura.

Perché in fondo la psicoterapia, proprio come la Pasqua, è un cammino di morte e rinascita.

Il Venerdì della psiche: quando qualcosa deve finire

Ogni percorso psicologico autentico passa per un momento di “morte”.

No, non di distruzione. Ma di perdita, di cedimento, di resa. Un’identità che non regge più. Una relazione che si sgretola. Un copione che non funziona. Una difesa che ha stancato.

È il Venerdì Santo della psiche, quello in cui il dolore non si può più evitare, e la vecchia forma non regge più.

In quel momento, chi è in terapia spesso sente di non sapere più chi è. E chi accompagna quel processo sa che non deve offrire subito soluzioni, ma spazio, ascolto, contenimento. Perché prima della rinascita, viene sempre il vuoto.

Il Sabato del silenzio: restare nel “non ancora”

Dopo il crollo, non c’è subito la luce. C’è il Sabato. Il tempo sospeso.

La terapia conosce bene questo territorio: è il momento in cui il vecchio è caduto, ma il nuovo non è ancora emerso. Si sta in bilico. Si aspetta. Si ascolta.

E il terapeuta, qui, ha un compito sacro: non riempire quel vuoto troppo in fretta. Non spingere la persona verso una guarigione frettolosa. Ma restare. Accanto. Insieme.

È nel sabato dell’anima che si forma il terreno della vera trasformazione.

La Domenica della rinascita: quando si diventa altro

Poi, qualcosa accade. Non sempre con fuochi d’artificio. A volte è un respiro che torna. Una parola nuova. Un gesto diverso.

Emerge una versione diversa del sé. Non più costruita per adattarsi o difendersi, ma più autentica. È una rinascita psichica, e come ogni nascita, è fragile, potente, incerta. Ma è vera.

In quel momento, la terapia non ha fatto “guarire”. Ha permesso un passaggio. Un’uscita da una forma di vita per entrare, a piccoli passi, in un’altra.

Conclusione: la Pasqua come esperienza interna

La Pasqua, anche per chi non è credente, può essere letta come una metafora esistenziale potentissima.

Ci ricorda che non si cambia evitando il dolore, ma attraversandolo. Che prima di essere “felici”, bisogna rinunciare a ciò che ci proteggeva ma ci imprigionava. E che ogni rinascita vera parte sempre da una frattura.

La psicoterapia non promette resurrezioni miracolose. Ma crea le condizioni perché ciascuno, con il proprio tempo e la propria verità, possa dire un giorno:

“Non sono più quello di prima. E sto iniziando ad abitare chi sono diventato.”

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