Il 17 dicembre 1973 è una data che ha cambiato la storia della psicologia, della psichiatria e, soprattutto, della vita di milioni di persone.
In quel giorno, l’American Psychiatric Association (APA) decise di eliminare l’omosessualità dall’elenco delle malattie mentali contenute nel DSM (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders).
Non fu un semplice aggiornamento diagnostico.
Fu una frattura epistemologica, culturale e umana.
Prima del 1973: quando l’identità veniva letta come patologia
Fino a quella data, l’omosessualità era ufficialmente considerata un disturbo psichiatrico.
Questo significava una cosa molto concreta:
milioni di persone venivano definite “malate” non per ciò che facevano, ma per ciò che erano.
Le conseguenze furono devastanti:
terapie “riparative” ricoveri elettroshock farmaci colpevolizzazione stigmatizzazione esclusione sociale interiorizzazione della vergogna
La sofferenza non nasceva dall’orientamento sessuale, ma dal modo in cui la società e la clinica lo trattavano.
La svolta: quando la scienza ascolta le persone
La decisione del 1973 non arrivò improvvisamente.
Fu il risultato di:
studi scientifici che dimostravano l’assenza di correlazione tra omosessualità e psicopatologia pressioni etiche e sociali testimonianze dirette di persone omosessuali una riflessione profonda sul ruolo della psicologia: curare o controllare?
Fu un passaggio fondamentale:
la psicologia smise — almeno in quel punto — di essere uno strumento di normalizzazione forzata e tornò alla sua funzione originaria: comprendere e accompagnare l’essere umano.
Una lezione ancora attuale per la psicoterapia
Come terapeuta, questa data mi ricorda una verità che non dovremmo mai dimenticare:
la psicoterapia non è neutra rispetto ai valori.
Ogni volta che definiamo qualcosa come “patologico”, stiamo facendo una scelta che ha conseguenze reali sulle persone.
Il 17 dicembre 1973 ci insegna che:
non tutto ciò che è diverso è malato la sofferenza va distinta dall’identità la clinica deve interrogarsi costantemente sui propri presupposti la psicologia può ferire quanto può curare
Ed è una lezione che vale ancora oggi, ogni volta che rischiamo di patologizzare:
il dolore d’amore la non conformità la sofferenza esistenziale le crisi evolutive le forme non standard di vita e di relazione
Dalla diagnosi alla dignità
Togliere l’omosessualità dal DSM non ha “creato” benessere automaticamente.
Ma ha aperto una possibilità:
quella di separare la sofferenza dalla colpa.
Molte persone omosessuali continuano a soffrire — come chiunque altro — ma non perché il loro orientamento sia un disturbo.
Soffrono per il rifiuto, per la discriminazione, per l’invisibilità, per la violenza simbolica o reale.
Ed è qui che la psicoterapia ha un ruolo fondamentale:
non nel correggere ciò che una persona è,
ma nell’aiutarla a reggere un mondo che spesso non è pronto ad accoglierla.
Una data che parla anche del presente
Il 17 dicembre 1973 non è solo una data del passato.
È uno specchio.
Ci chiede continuamente:
cosa stiamo ancora patologizzando oggi? quali forme di vita consideriamo “sbagliate”? quanto della sofferenza che incontriamo nasce dalla persona e quanto dal contesto?
La buona psicoterapia nasce proprio da queste domande.
Riconoscere questa data significa ricordare che la salute mentale non è conformità,
che la diversità non è diagnosi,
e che il compito del terapeuta non è aggiustare le persone,
ma restituire loro dignità, senso e possibilità di esistere pienamente.



