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L’alleanza terapeutica: quella che cura davvero

da | 20 Nov 2025

Quando penso a cosa rende efficace una psicoterapia, mi accorgo che la risposta non sta nei manuali, né nelle tecniche, né nella diagnosi.

Sta in qualcosa di molto più semplice e allo stesso tempo difficilissimo da costruire:

l’alleanza terapeutica.

È quella forza silenziosa che tiene insieme paziente e terapeuta mentre attraversano territori complessi.

È lo spazio tra due persone in cui diventa possibile dire la verità su di sé, senza paura di essere giudicati o abbandonati.

E sì, lo dico chiaramente: è l’alleanza terapeutica che cura, prima di qualsiasi altra cosa.

Che cos’è davvero l’alleanza terapeutica

Non è “andare d’accordo”, non è “piacersi”, non è “sentirsi capiti sempre”.

È l’incontro di tre elementi:

Fiducia – quello sguardo che dice “qui posso portare anche ciò che non mostro a nessuno”. Condivisione degli obiettivi – sapere dove stiamo andando, anche se il percorso non è sempre lineare. Collaborazione – non c’è passività: c’è un lavoro fatto in due, ognuno con la propria parte.

Quando questi tre elementi si incastrano, la terapia diventa un luogo vivo, fertile, trasformativo.

Perché è l’alleanza che cura

Perché la psicoterapia non è solo un trasferimento di conoscenze.

È una relazione.

E come ogni relazione, deve essere sicura, affidabile, prevedibile, accogliente.

Quando il paziente percepisce che io ci sono davvero — non solo come professionista ma come essere umano presente, attento, affidabile — allora accade qualcosa di potente:

il sistema nervoso si calma, la mente si apre, la storia può finalmente uscire.

La cura nasce dall’esperienza di sentirsi visti, ascoltati, sostenuti.

Quando sento che l’alleanza si è creata

Di solito lo capisco da piccoli segnali:

quando il paziente porta in seduta le cose di cui si vergogna; quando mi dice “non so se glielo posso dire, ma…”; quando osa contraddirmi, o arrabbiarsi con me; quando si permette di mostrarsi fragile senza sentirsi in pericolo; quando le sedute iniziano ad avere un ritmo e un tono “nostro”, unico.

E, soprattutto, quando sento che non sta più venendo per piacermi, ma per lavorare su di sé.

Quando l’alleanza manca, tutto si ferma

Ci sono casi in cui la terapia non procede perché l’alleanza non è ancora nata.

Non c’è colpa: succede.

Serve tempo, serve pazienza, serve autenticità.

Senza alleanza:

le parole restano in superficie; le interpretazioni non attecchiscono; gli esercizi non cambiano nulla; il paziente si censura, compiace, agisce, evita.

È come cercare di seminare in un terreno che non è pronto.

In psicoterapia sistemico–relazionale: un legame che è strumento

Nel mio lavoro, l’alleanza non è solo un clima.

È uno strumento attivo.

È il terreno dove osserviamo le dinamiche relazionali: come il paziente si avvicina, come si difende, come reagisce a un limite, come chiede, come attacca, come si ritira.

La relazione diventa uno specchio vivo.

E dentro quello specchio si impara, lentamente, a stare in relazione in modo nuovo.

L’alleanza non è ruffiana. È vera.

A volte creare alleanza significa anche dire cose scomode, porre limiti, riportare alla realtà.

Non è compiacere, non è sedurre, non è illudere.

È costruire un terreno solido dove si può:

discutere, affrontare i conflitti, sperimentare la delusione senza crollare, restare, anche quando fa male.

Perché è lì che avviene la cura: nel rispecchiamento reale, non nell’adattamento reciproco.

Conclusione: l’alleanza è la casa emotiva del percorso

Alla fine, se dovessi dirlo in una frase, direi così:

La tecnica orienta.

L’alleanza sostiene.

Ma è l’alleanza che cura.

Perché è dentro quella relazione unica — temporanea, ma profondissima — che una persona può permettersi di tornare a essere sé stessa, forse per la prima volta.

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