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Psicoterapia domiciliare: quando la cura arriva a casa

da | 27 Apr 2025

La psicoterapia, nell’immaginario comune, si svolge dentro uno studio, tra poltrone, libri e silenzi protetti.

Ma non sempre è possibile – o giusto – chiedere alla persona di raggiungere quel luogo.

Ci sono situazioni in cui è la terapia a doversi muovere, ad andare verso chi ha bisogno. È qui che nasce il senso profondo della psicoterapia domiciliare.

Quando è necessario portare la terapia a casa

La psicoterapia domiciliare non è una “terapia minore”, né una “soluzione di ripiego”.

È una forma di intervento pensata per quei casi in cui spostarsi, uscire, confrontarsi con l’esterno è troppo difficile o impossibile.

Può riguardare:

Persone con gravi difficoltà motorie o disabilità; Pazienti con ansia grave, agorafobia o fobie sociali; Anziani fragili o malati cronici; Situazioni post-traumatiche dove il ritiro sociale è marcato.

In questi casi, il primo gesto terapeutico è raggiungere la persona lì dove si trova, nel suo ambiente più sicuro (e, a volte, anche più complesso).

Il setting si adatta, ma la qualità della relazione resta

La casa porta con sé molte variabili imprevedibili: rumori, spazi non neutri, presenza di familiari.

Il terapeuta domiciliare deve quindi essere flessibile e capace di mantenere il setting interno, pur in un contesto esterno non “protetto” come uno studio.

La regola d’oro resta sempre la stessa: creare uno spazio di incontro autentico, dove la persona possa sentirsi ascoltata, accolta, riconosciuta.

Anche su un divano di casa, anche accanto a una finestra che cigola.

Lo sguardo sistemico-relazionale a domicilio

In un intervento domiciliare, l’approccio sistemico-relazionale diventa particolarmente prezioso.

Essere nella casa di un paziente significa, inevitabilmente, entrare in contatto con il sistema relazionale in cui vive: la famiglia, le dinamiche di coppia, i ruoli impliciti, i legami invisibili ma potentissimi.

Non si lavora solo sull’individuo isolato, ma si osserva come i suoi comportamenti, sintomi e risorse sono intrecciati con quelli degli altri.

Chi si prende cura? Chi controlla? Chi si sacrifica? Chi resta invisibile?

Portare il pensiero sistemico dentro la casa significa leggere la sofferenza non come difetto personale, ma come manifestazione di equilibri familiari che, a volte, vanno visti, riconosciuti e lentamente trasformati.

La casa come teatro della mente

Intervenire a domicilio offre qualcosa di unico:

Permette di entrare in punta di piedi nel mondo concreto della persona; Rende visibili aspetti del vissuto che spesso in studio restano raccontati, ma non mostrati; Consente di lavorare direttamente sulle dinamiche ambientali, relazionali e organizzative che influenzano il benessere psicologico.

La casa diventa così non solo contenitore, ma anche contenuto della terapia.

Non è solo una comodità: è un atto di rispetto

Proporre un percorso a domicilio non è “semplificare” la psicoterapia.

È riconoscere che il diritto alla cura non deve dipendere dalla possibilità di spostarsi, o dalla capacità di affrontare spazi esterni.

È un modo per dire: “Ti riconosco nella tua fatica, ma anche nella tua possibilità di cambiare.”

Conclusione: la cura è incontro, ovunque accada

La psicoterapia domiciliare rompe il mito dello “studio come unico luogo di trasformazione”.

La vera cura non è nel luogo fisico, ma nella qualità della presenza, della relazione, della fiducia.

E se la casa è teatro delle relazioni più intime, lo sguardo sistemico-relazionale diventa lo strumento per leggere, comprendere e trasformare quei legami invisibili che spesso tengono bloccato il cambiamento.

Che sia in una poltrona elegante o in una cucina disordinata, ciò che conta è l’incontro autentico tra terapeuta e paziente.

Ed è lì, in quello spazio condiviso, che il cambiamento può iniziare.

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