Quando pensiamo a Mary Poppins, ci viene subito in mente lei: magica, imprevedibile, scardinante. Ma spesso dimentichiamo che uno dei veri protagonisti del film – e uno dei più trasformati – è il signor Banks, il padre dei piccoli Jane e Michael.
La sua evoluzione non è solo narrativa: è profondamente psicologica. È il viaggio di un padre che, per la prima volta, si confronta davvero con l’essere genitore, e non solo con il ruolo sociale di “padre di famiglia”.
Il padre assente ma presente: l’autorità impersonale
All’inizio del film, Mr. Banks è il prototipo del padre vittoriano: rigido, razionale, distante.
Crede che la disciplina, la puntualità e il rispetto delle regole siano le basi dell’educazione e dell’ordine familiare. Il suo ruolo genitoriale è improntato più alla funzione che alla relazione.
È un padre “funzionale”, ma emotivamente assente. I figli? Li affida a una tata. Le emozioni? Non pervenute. I bisogni affettivi dei bambini? Secondari, se non proprio invisibili.
In lui possiamo vedere la rappresentazione di un modello educativo arcaico, dove il padre è garante dell’autorità ma privo di capacità affettiva e sintonizzazione emotiva. È la figura dell’adulto che “fa il suo dovere” ma non si lascia toccare.
Mary Poppins come agente del caos trasformativo
Mary Poppins arriva come una forza destabilizzante. Non solo per i bambini, ma soprattutto per il padre.
Lei non si oppone apertamente al suo stile autoritario, ma lo scardina dall’interno, portando nella casa – e nella mente di Banks – una nuova possibilità:
quella in cui educare non significa controllare, ma esserci.
Nel suo modo misterioso, Mary Poppins costringe il signor Banks a incontrare i suoi figli, non solo come dovere, ma come relazione. E qui si apre lo spazio per il cambiamento.
Il crollo dell’ideale e la nascita del padre reale
La svolta arriva quando Mr. Banks perde ciò che lo teneva in piedi: la reputazione, il lavoro, il controllo.
Quel momento, apparentemente disastroso, è in realtà la sua seconda nascita. È lì che smette di essere il padre “ideale”, costruito su modelli esterni, e comincia a diventare il padre reale: fallibile, vulnerabile, ma capace di amare e di giocare.
È un passaggio potentemente simbolico: dalla maschera alla presenza, dalla funzione alla relazione.
Il padre che ride e vola
Nella scena finale, Mr. Banks si trasforma. È lui a riparare l’aquilone, a ridere con i figli, a restituire un tempo condiviso e affettuoso.
Non ha bisogno di diventare “perfetto”. Basta che diventi accessibile, vivo, affettivamente presente.
E questo, dal punto di vista psicologico, è l’arco di crescita più importante per un genitore: accettare di scendere dal piedistallo, per poter finalmente sedersi accanto.
Conclusione: un padre non è solo chi guida. È chi incontra
Il signor Banks, alla fine, non cambia lavoro, non diventa più ricco, non ha più risposte. Ma cambia sguardo. E quello basta per far sentire i suoi figli visti.
La sua trasformazione ci ricorda che il compito di un genitore non è perfezionare il figlio, ma incontrarlo.
E che a volte, la vera educazione inizia quando il padre smette di essere un’autorità e sceglie di essere una presenza.