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L’empatia è l’abilità sociale di mettersi nei panni dell’altro, che consente di percepire emozioni e pensieri e rappresenta uno degli strumenti di base della comunicazione interpersonale.

Il termine deriva dal greco en-pathos, che vuol dire sentire dentro e consiste perciò nel riconoscere le emozioni dell’altro come fossero proprie.
Grazie all’empatia comprendiamo pensieri, sentimenti, pathos dell’altro afferrando così non solo il senso di ciò che esso ci dice, ma anche il significato psico-emotivo. Rappresenta perciò un prezioso strumento metacomunicativo, perché ci consente di cogliere gli elementi del messaggio che vanno oltre il contenuto semantico e sono espressi dal linguaggio del corpo, che siamo in grado di decodificare proprio grazie all’ascolto empatico.
Nelle scienze umane, parliamo di empatia come dell’atteggiamento caratterizzato dall’impegno di comprensione dell’altro, escludendo giudizi morali e attitudini affettive personali come simpatia o antipatia.
A livello neurobiologico, la comprensione è sostenuta dai cosiddetti neuroni a specchio, che ci aiutano a partecipare come testimoni alle azioni, alle emozioni e alle sensazioni dell’altro perché attivano le stesse aree cerebrali che, di norma, sono coinvolte nello svolgimento delle stesse azioni o sensazioni in prima persona.


Empatia e psicologia

È agli inizi del 900 che l’empatia fa capolino nell’osservazione psicologica grazie a Lipps che per primo parla di partecipazione profonda all’esperienza dell’altro, introducendo il concetto dell’alterità. Secondo Lipps l’osservazione dei fenomeni altrui suscita lo stesso stato d’animo che si pone alla base del movimento osservato, che non viene percepito come proprio bensì proiettato sull’altro e legato al suo movimento. L’empatia viene perciò vista come partecipazione e imitazione interiore.
Secondo Freud, l’empatia è il mezzo attraverso cui conosciamo l’esistenza di una vita psichica diversa dalla nostra.
Kohut sarà responsabile di un ulteriore approfondimento: egli infatti considera l’empatia non solo come uno strumento di conoscenza ma anche come uno strumento terapeutico. Esporsi ripetutamente all’esperienza empatica aiuta l’analista a riparare i difetti del sé del paziente.
Nel 1934 Mead aggiunge la componente cognitiva.
Studi più recenti hanno avanzato l’ipotesi che l’empatia nasca da un processo di simulazione incarnata, che precede l’elaborazione cognitiva, e che nell’attivazione della stessa si realizzi un processamento di emozioni verso l’alto nell’esperienza di condivisione e verso il basso nel controllo delle funzioni esecutive, che permette di regolare l’esperienza di condivisione.
L’empatia perciò non si presenta come mera forma di conoscenza, ma come un vero e proprio processo cognitivo, un’abilità che può essere allenata e praticata sino a diventarne esperti.
Riuscire infatti a decidere come, quando e quanto attivare il processo empatico, a seconda della situazione o delle persone che abbiamo innanzi a noi oppure del contesto sociale in cui ci troviamo, ci renderebbe capaci di evitare di cadere negli estremi di eccesso oppure assenza di empatia.

Le condizioni di base dell’empatia

Per provare empatia sono necessarie cinque condizioni di base:

  1. L’imitazione motoria e neuronale. Per essere empatici sono necessarie l’attivazione dei neuroni a specchio e la produzione di mimica facciale e corporea.
  2. La conoscenza dello stato interiore dell’altro, che ci consente di creare una rappresentazione più o meno chiara di ciò che questo sta vivendo.
  3. La cosiddetta risonanza emotiva, dobbiamo cioè agire come diapason e lasciare che le sensazioni dell’altro trovino spazio in noi.
  4. L’abbandono della nostra posizione per identificarci nell’altro, per poi tornare nel nostro io e ricreare le sensazioni come se fossero accadute in noi.
  5. L’autoregolazione emotiva, cioè il controllo delle nostre reazioni per poter essere di aiuto all’altro.