Quando non perdiamo solo qualcuno, ma perdiamo anche un’immagine di noi stessi
Nel mio lavoro clinico ho imparato che non tutte le ferite d’abbandono sono uguali.
C’è l’abbandono che fa soffrire perché perdiamo una persona, un affetto, una presenza.
E poi c’è un altro tipo di abbandono, più profondo e meno visibile:
quello che ferisce l’immagine che abbiamo di noi stessi.
È ciò che chiamiamo ferita narcisistica: non un atto di “narcisismo” come parola abusata nel linguaggio comune,
ma un colpo alla nostra identità, al nostro valore, alla sensazione di essere amabili.
L’abbandono che fa male all’Io, non solo al cuore
Quando una persona ci lascia, o si allontana emotivamente, non perdiamo solo lei.
Perdiamo anche l’immagine di chi credevamo di essere con lei.
In terapia, spesso sento dire:
“Non capisco perché non sono bastata.” “Se mi ha lasciato, significa che valgo meno.” “Forse non sono abbastanza interessante.” “Cosa ha visto in me che non gli è piaciuto?”
Non sono domande sull’altro.
Sono domande su sé stessi.
L’abbandono, in questi casi, non è vissuto come una perdita relazionale,
ma come una smentita del proprio valore.
E quando il valore sembra crollare, è l’identità a vacillare.
Perché l’abbandono colpisce così profondamente il narcisismo sano
Tutti abbiamo bisogno di sentirci:
degni scelti desiderati visti riconosciuti
Non è narcisismo patologico.
È narcisismo sano: la struttura interna che ci fa sentire di valore, meritevoli d’amore, capaci di stare al mondo.
Quando qualcuno ci abbandona, questa struttura viene toccata.
Non perché “siamo fragili”,
ma perché l’essere umano è costruito per reggere la propria identità nello specchio dell’altro.
E quando quello specchio si spezza, ci sentiamo spezzati anche noi.
La ferita narcisistica porta due grandi reazioni
1. La svalutazione di sé
“Non valgo”,
“Non sono abbastanza”,
“Non merito amore”.
È una reazione di crollo dell’immagine interna.
2. La rabbia verso l’altro
“Come ha potuto?”
“Non si fa così.”
“Mi ha mancato di rispetto.”
È una reazione difensiva: se non riesco a tollerare che il mio valore è stato messo in dubbio,
allora cerco di svalutare chi mi ha ferito.
A volte queste due reazioni convivono:
c’è un Sé che si sente inadeguato e un altro che protesta.
Il dolore dell’abbandono non guarisce con la logica
A livello razionale, sappiamo bene che una relazione può finire per mille motivi.
Ma la ferita narcisistica non è logica.
È prelogica, emotiva, primitiva.
È il ritorno a un dolore antico:
la paura di non valere niente se non c’è qualcuno a confermarci.
E nessuna frase del tipo “non dipende da te” risolve davvero quel crollo interno.
Lo si elabora solo attraversandolo.
In terapia: ricostruire l’immagine interna ferita
Quando lavoro con persone colpite da un abbandono, il punto non è “capire” perché l’altro è andato via.
Il punto è comprendere che cosa quella perdita ha toccato dentro.
Il lavoro terapeutico diventa:
riconoscere la ferita senza giudicarla distinguere il valore personale dall’esito della relazione capire quale parte antica è stata riattivata ridare alla persona un’immagine di sé più stabile uscire dal pensiero “valgo solo se mi scegli” riappropriarsi della capacità di desiderare, non solo di essere desiderati
La ferita narcisistica si cura non riparando la relazione perduta,
ma ricostruendo il modo in cui la persona si percepisce.
L’abbandono non dice chi siamo: dice cosa abbiamo provato
Questa è la parte che, spesso, cambia il modo di sentire:
l’abbandono non definisce il nostro valore.
Definisce il nostro dolore.
Ci parla di bisogni profondi, antichi, umani.
Non della nostra “mancanza”.
E attraversare quella ferita, in terapia, permette spesso alla persona di ritrovare non solo se stessa,
ma anche un modo più libero e meno dipendente di stare nelle relazioni.
Conclusione
L’abbandono è una ferita narcisistica perché non colpisce solo l’amore,
colpisce il modo in cui ci guardiamo.
Guarisce quando impariamo che il nostro valore non può essere in mano a nessuno,
che la nostra identità non può dipendere da chi resta o da chi va,
e che l’amore più solido — quello che davvero regge —
è quello che nasce quando possiamo dire:
“Io valgo, anche se qualcuno non resta.”



