Esistono, in psicoterapia, diversi tipi di approcci: nello specifico, l’approccio sistemico-relazionale lega il comportamento del singolo individuo all’ambiente e alla rete di relazione in cui è vissuto, prestando particolare attenzione al ruolo della famiglia.
Fondamenti teorici della terapia
La terapia sistemico-relazionale affonda le sue origini nel lavoro dell’antropologo statunitense Gregory Barteson che teorizzò il concetto di soggetto contestuale. Secondo lo studioso, la personalità dell’individuo si costruisce e si struttura sulla base di processi interattivi, delle relazioni cioè che questo instaura con gli individui e con l’ambiente circostante, ponendo così un forte accento sulla dimensione relazionale e sull’appartenenza a specifici contesti. L’uomo non è un’entità a sé stante, bensì il centro di una rete di rapporti che si intersecano che fanno sì che i vari membri in rapporto tra loro si influenzino a vicenda. La comunicazione, sia verbale che manifesta, ha perciò un ruolo basilare e rappresenta lo scambio di informazioni rispetto cui gli altri reagiscono.
Sintomo e diagnosi
L’individuo è visto come immerso nel contesto sociale, culturale e relazionale e l’intervento principale di questa psicoterapia riguarda l’intero contesto relazionale di riferimento.
L’approccio sistemico-relazionale modifica la visione stessa dei concetti di sintomo, diagnosi, trattamento del disagio psichico. Partendo dal presupposto che l’individuo è parte di un sistema, il sintomo viene visto come il messaggio che il singolo lancia alle persone e al sistema stesso per manifestare un disagio. Secondo la teoria sistemico-relazionale, la psicopatologia deriva soprattutto dalle difficoltà incontrate all’interno del sistema di relazioni: l’individuo è perciò il portatore del sintomo che indica la disfunzionalità dell’intero sistema.
Come funziona?
L’approccio sistemico-relazionale si basa sulla diretta osservazione delle modalità attraverso cui il paziente si relaziona con il sistema di appartenenza: in primo luogo quindi la famiglia, per poi proseguire nell’ambito amicale o lavorativo.
Si tiene perciò conto, durante la terapia, della storia sia familiare che transgenerazionale che influenza il contesto del singolo, per poi focalizzare l’attenzione sull’analisi del presente e delle difficoltà attuali. Lo scopo è infatti quello di modificare dinamiche e modelli disfunzionali attraverso un vero e proprio processo di co-costruzione, che coinvolge il terapeuta e l’individuo/famiglia. La durata e la frequenza delle sedute dipendono dalla problematica, dalla gravità e dalla resistenza del sistema al cambiamento.
L’approccio sistemico-relazionale è particolarmente indicato per le coppie e le famiglie, ma è estremamente diffusa anche la terapia individuale. Spesso è difficile coinvolgere l’intero nucleo familiare nel percorso terapeutico, ma il paziente – rivolgendosi al terapeuta – porta con sé tutte le relazioni che hanno significativamente caratterizzato la sua esistenza.
I punti fondamentali di questo approccio sono perciò due: l’ottica circolare e la relazione.
L’ottica circolare conduce il paziente a modificare il proprio punto di vita: egli viene infatti responsabilizzato e condotto alla consapevolezza che ciò che accade non succede solo per colpa dell’altro, ma per via dell’accettazione di ciò che accade.
È fondamentale, poi, osservarsi non solo come individui ma sempre all’interno di un sistema relazionale: lo stabilizzarsi del sistema consente di ampliare le possibilità e le strategie per affrontare le difficoltà , costruendo così un equilibrio diverso e soddisfacente.