Seleziona una pagina

Le fobie “infantili” negli adulti: quando la paura non cresce con noi

da | 20 Nov 2025

Da terapeuta mi capita spesso di incontrare adulti che arrivano in studio con un’espressione a metà tra l’imbarazzato e il preoccupato, e mi dicono frasi come:

“Lo so che è stupido, ma… ho paura del buio.”

“Rido mentre glielo dico, ma… non dormo se la porta è aperta.”

“So che ho quarant’anni, ma… i temporali mi paralizzano.”

“Mi impressionano le maschere, le bambole… non so perché.”

E subito dopo aggiungono:

“Dovrei averlo superato da bambino, vero?”

Ecco, qui inizia il lavoro:

perché la paura non è un esame di maturità da superare, né un muscolo da far crescere.

La paura è memoria, corpo, simbolo, storia.

E a volte resta bambina anche quando noi diventiamo adulti.

Perché alcune fobie “infantili” resistono nel tempo

La risposta è più complessa — e più interessante — di quanto sembri.

1. Il cervello emotivo non ha età

L’amigdala, che registra le minacce, non distingue tra un pericolo reale e uno simbolico.

E se un certo stimolo è stato associato alla paura nella nostra infanzia, può restare “marchiato” come minaccioso anche da adulti.

2. Le fobie sono scorciatoie: evitano dolori più profondi

La mente preferisce a volte una paura chiara e concreta (un insetto, il buio, l’altezza) piuttosto che affrontare paure invisibili: abbandono, impotenza, rifiuto, solitudine.

La fobia diventa la rappresentazione esterna di un conflitto interno.

3. Molte fobie infantili hanno un significato simbolico

La paura del buio può riguardare il non sapere dove siamo nella vita. La paura del temporale può legarsi alle emozioni “troppo forti”. La paura dei rumori improvvisi può nascere dalla mancanza di prevedibilità. La paura dei clown o delle maschere parla di identità confuse, ambigue, non decifrabili.

La paura è infantile solo nel simbolo, non nel contenuto emotivo.

Gli adulti non hanno fobie “ridicole”. Hanno storie.

Io lo dico sempre in terapia:

non riduco mai una fobia al suo oggetto.

Guardo dove si è fermata la crescita emotiva.

In quale età simbolica è rimasta quella paura.

E cosa stava succedendo lì.

Le fobie “infantili” negli adulti non indicano che la persona è immatura.

Indicano che una parte di sé è rimasta non protetta, non capita, non accompagnata.

E quella parte chiede ancora aiuto.

In terapia: quando la paura infantile diventa un ponte

Spesso l’oggetto fobico è solo il punto di ingresso.

Il portale.

Il vero lavoro inizia quando il paziente comincia a vedere la propria fobia come:

un ricordo emotivo congelato una richiesta di contenimento una parte arcaica che vuole voce un linguaggio del corpo

E allora la domanda cambia da:

“Perché ho paura di questo?”

a

“A cosa rimanda questa paura dentro di me?”

È lì che la terapia diventa trasformativa.

La vergogna è la prima a dover andar via

Molti adulti vivono queste fobie con vergogna:

“Non lo dico a nessuno.”

“Mi sento ridicolo.”

“Mi sembra di tornare bambino.”

E invece, quando in seduta ne parlano e vedono che io non mi sconvolgo, non rido, non giudico…

succede qualcosa di terapeutico già lì.

La normalizzazione non è “banalizzazione”:

è accoglienza.

È dire:

“La tua paura è una parte legittima di te. Diamole un posto, così può smettere di urlare.”

Conclusione: le paure che si portano dietro un’infanzia

Le fobie infantili negli adulti non sono un’anomalia.

Sono una storia che continua a vivere.

Un pezzo di passato che chiede finalmente di essere guardato con occhi adulti.

E la terapia non serve a “diventare coraggiosi”, ma a ricucire l’età emotiva con l’età anagrafica, restituendo coerenza e continuità.

Perché non esistono paure ridicole:

esistono paure che aspettano qualcuno che le ascolti.

Abbiamo parlato di:

Potrebbe interessarti:

Esistiamo solo se l’altro ci guarda

Esistiamo solo se l’altro ci guarda

Perché l’identità nasce sempre dentro una relazione Una frase che ritorna spesso nel mio lavoro è: “Mi sento di valere solo quando qualcuno mi...