In una società sempre più veloce, che spesso dimentica o dà per scontati gli atti di gentilezza, è importante riaffermare un atteggiamento profondo e radicato fatto di generosità, calore e umiltà. In passato questi stessi sentimenti erano noti come caritas (amore per il prossimo) e philantropia (amore per l’umanità) e per gran parte della storia occidentale la gentilezza è stata associata alla carità cristiana, che come un buon – anzi ottimo – collante ha tenuto uniti gli individui nella società. Nei secoli si sono susseguite dozzine di teorie, positive o negative, sulla generosità, vista talora come sfogo oppure addirittura come rifugio. Ciò che dobbiamo tuttavia tenere sempre a mente è che la gentilezza è una delle strategie più importanti a disposizione dell’uomo per uscire dall’isolamento e rende la vita degna di essere vissuta.
A esser gentili, poi, si va incontro a effetti collaterali inaspettati. La gentilezza infatti rende più felici, rallenta l’invecchiamento, fa bene al cuore, migliora le relazioni e, soprattutto, è contagiosa. Ma procediamo per gradi.
Gentilezza e felicità
Quando compiamo un atto di gentilezza nei confronti di qualcun altro, ci sentiamo indubbiamente bene sia a livello spirituale che fisico. Questo accade perché, nel primo caso, avvertiamo una sensazione positiva che ci porta a pensare “Questo è ciò che amo essere”. A livello fisico invece, o più precisamente biochimico, quella stessa sensazione è dovuta al cosiddetto helper’s high, la profonda euforia seguita da una gradevole calma dovuta all’aumento di dopamina nel nostro cervello.
Gentilezza e invecchiamento
I radicali liberi e le infiammazioni, spesso derivanti da stili di vita malsani, sono i principali responsabili dell’invecchiamento a livello cerebrale e biochimico. Recenti ricerche mostrano che l’ossitocina, prodotta anche attraverso il calore emotivo, contribuisce a ridurre i radicali liberi e l’infiammazione del sistema cardiovascolare. Insomma un intervento benefico direttamente alla fonte. Ulteriori studi hanno dimostrato che la meditazione buddista tibetana sulla gentilezza e compassione ha un potere antifiammatorio sul nervo vago, che regola i livelli di infiammazione e la frequenza cardiaca.
Gentilezza e cuore
Gli atti di compassione e bontà portano con loro il calore emotivo. Questo contribuisce alla produzione dell’ossitocina, responsabile del rilascio di ossido nitrico nei vasi sanguigni (responsabile della dilatazione di questi ultimi). L’ossitocina è perciò nota anche come ormone cardioprotettivo, perché contribuisce alla riduzione della pressione sanguigna e protegge il cuore.
Gentilezza e relazioni
La gentilezza riduce la distanza emotiva e ci fa sentire più vicini, più legati. Nelle relazioni fa cadere i sistemi difensivi e predispone l’interlocutore a dare risposte più educate, inoltre smussa i conflitti e apre le porte a una comunicazione più efficace poiché genera pensieri positivi. Essere aperti, sorridenti e propositivi è un’arma potentissima, non solo con gli estranei, ma anche in famiglia e nel contesto lavorativo: crea infatti una predisposizione benevola, rinsalda e riconcilia i legami e stimola la collaborazione.
Essere gentili è un esercizio quotidiano, che diventa contagioso e crea un ambiente sano, sicuro, attento ai bisogni dei suoi componenti e veicola un’atmosfera educata e aperta.
Sii gentile quando possibile. È sempre possibile (Dalai Lama).