Quando si parla di violenza sulle donne, il pensiero va subito ai lividi, alle urla, agli schiaffi.
Ma chi lavora come me in uno studio di psicoterapia lo sa: molte forme di violenza non lasciano segni sulla pelle, ma scavano in profondità, nello spazio più invisibile e più fragile della vita di una donna — la sua libertà.
La violenza non è solo fisica.
Non è solo psicologica.
Può essere economica, e spesso è proprio da lì che comincia il controllo.
La violenza economica: la forma più silenziosa del dominio
In terapia, quando una donna mi dice:
“Non posso spendere senza chiederglielo.” “Lui gestisce tutti i soldi.” “Non so nulla del conto comune.” “Se voglio qualcosa devo giustificarla.” “Mi fa sentire in colpa quando compro qualcosa per me.”
…capisco subito che siamo davanti a una forma di violenza potente e sottile, che non vìola il corpo ma limita l’autonomia, la dignità e il diritto all’esistenza.
La violenza economica può prendere molte forme:
impedire alla donna di lavorare controllare le sue spese toglierle l’accesso al conto darle “paghette” come fosse una bambina intestarsi tutto minacciarla usando soldi, casa, beni farle pesare ogni euro “dato”
È una violenza “educata”, che non urla, ma soffoca.
Perché controllare i soldi significa controllare la vita.
Perché è così difficile riconoscerla
La maggior parte delle donne che la subisce non la chiama violenza.
La chiama:
“Sai com’è fatto lui…” “Non vuole che mi stanchi.” “Dice che è per il nostro bene.” “Ha paura che sprechi.” “È più bravo con i soldi.”
Il controllo viene venduto come protezione.
La dipendenza viene mascherata da amore.
La restrizione viene travestita da responsabilità.
E invece, quando a un essere umano si toglie l’accesso alle risorse economiche, gli si toglie anche la possibilità di scegliere.
Il ciclo della violenza e la trappola economica
Molte donne restano in relazioni violente — fisiche o psicologiche — perché non hanno mezzi per andarsene.
Senza soldi
→ non puoi prendere una casa
→ non puoi portare via i figli
→ non puoi spostarti
→ non puoi ricominciare
E allora la violenza economica diventa la cornice che permette a tutte le altre forme di violenza di esistere.
È ciò che tiene la gabbia chiusa.
In terapia: ricostruire il diritto all’autonomia
Quando una donna inizia a portare questi temi in seduta, so che sta accadendo qualcosa di importante: sta nominando ciò che le accade.
Sta iniziando a vedere la dinamica.
Si sta avvicinando a una verità che per anni ha dovuto ignorare per sopravvivere.
Il lavoro terapeutico, in questi casi, è:
dare parole a ciò che non ne ha restituire dignità alla percezione della donna distinguere protezione da controllo ricostruire l’autostima sostenere scelte realistiche e sicure creare una rete di supporto (legale, sociale, familiare)
La terapia non toglie la violenza,
ma toglie la colpa.
E quando la colpa cade, la donna recupera forza e possibilità.
La violenza sulle donne è anche questo: togliere spazio, tempo, denaro, futuro
Una relazione sana non ti chiede di giustificare ogni euro che spendi.
Non ti tratta come un peso economico.
Non ti priva dei mezzi.
Non usa il denaro come arma, come ricatto o come punizione.
Una relazione sana ti permette di esistere come individuo, non solo come partner.
Conclusione
La violenza sulle donne non ha un solo volto.
A volte è un urlo.
A volte è un conto bloccato.
A volte è un “non ti preoccupare, penso a tutto io” che lentamente diventa una morsa.
Parlarne è necessario.
Nominarla è liberatorio.
Riconoscerla è il primo passo per uscirne.
Perché nessuno può dirsi libero se non può decidere della propria vita — e la vita, oggi, passa anche attraverso il diritto di gestire le proprie risorse.



