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Esistiamo solo se l’altro ci guarda

da | 4 Dic 2025

Perché l’identità nasce sempre dentro una relazione

Una frase che ritorna spesso nel mio lavoro è:

“Mi sento di valere solo quando qualcuno mi vede.”

Non detta così, in modo diretto.

A volte arriva come mancanza, altre come richiesta, altre ancora come sofferenza.

Ma la radice è la stessa:

il bisogno umano di esistere nello sguardo dell’altro.

Non è un difetto, e non è debolezza.

È il modo in cui siamo fatti.

La nostra identità non nasce da soli

Siamo cresciuti con l’idea romantica e un po’ narrativa dell’individuo autosufficiente, capace di darsi da solo significato, forza, valore.

Peccato che la biologia, la psicologia dello sviluppo e la clinica dicano l’opposto.

Ogni essere umano impara chi è attraverso lo sguardo di qualcuno:

lo sguardo della madre che regola, calma, riconosce lo sguardo del padre che sostiene e definisce lo sguardo dei pari che conferma appartenenza lo sguardo del partner che restituisce desiderabilità lo sguardo sociale che dice se abbiamo un posto

Non esistiamo mai da soli.

Esistiamo dentro la relazione.

Lo sguardo come specchio: la prima identità

I primi mesi di vita ce li giochiamo così: cercando lo sguardo dell’adulto.

È attraverso quel contatto che capiamo:

“sono importante”, “sono al sicuro”, “sono visto”, “posso esistere”.

Senza quello sguardo, il bambino non si sente reale.

E questa matrice resta in noi anche da adulti.

Da adulti, continuiamo a esistere attraverso gli altri

Ogni relazione significativa, infatti, ci rimette al mondo.

Quando qualcuno ci guarda davvero — con attenzione, interesse, presenza — succedono tre cose:

ci sentiamo riconosciuti, ci sentiamo reali, ci sentiamo importanti per qualcuno.

Non è dipendenza, è fisiologia della mente.

Ogni volta che una persona amata smette di guardarci, anche solo emotivamente, sentiamo un crollo interno:

come se una parte di noi diventasse invisibile.

Il problema non è aver bisogno dello sguardo: è averne bisogno solo

Qui si crea la sofferenza.

Il bisogno di essere visti è sano e inevitabile —

diventa doloroso quando è l’unico modo che abbiamo per sentirci validi.

In terapia incontro spesso persone che vivono così:

si sentono reali solo se qualcuno le desidera si percepiscono buone solo se qualcuno le approva si sentono “giuste” solo se nessuno si arrabbia con loro si sentono vive solo quando l’altro c’è

Questo è il punto in cui il bisogno di essere visti smette di nutrire e comincia a consumare.

Gli sguardi che feriscono: invisibilità, svalutazione, disconferma

Non tutti gli sguardi fanno esistere.

Alcuni cancellano.

In terapia emergono spesso ferite antiche legate a:

sguardi che giudicavano sguardi assenti sguardi distratti sguardi indifferenti sguardi che chiedevano performance sguardi che pretendevano perfezione

Non sono solo ricordi.

Sono verghe identitarie: scolpiscono l’idea che abbiamo di noi stessi.

Lo sguardo del terapeuta: un luogo dove esistere senza dover performare

Una delle cose più importanti nella relazione terapeutica è proprio questa:

il paziente può esistere senza dover meritare lo sguardo.

Lo sguardo del terapeuta non è giudicante, non è educativo, non è valutativo.

È uno sguardo che regge:

la confusione la paura la vergogna la rabbia l’ambivalenza i silenzi

È uno sguardo che non chiede di essere perfetti.

E questa esperienza, apparentemente semplice, cambia la struttura interna della persona.

È come ricevere, finalmente, un permesso:

“puoi esistere anche così.”

Esistere da soli è impossibile, ma esistere solo negli altri è pericoloso

La salute psicologica non è l’autosufficienza.

È la capacità di oscillare:

tra il bisogno dell’altro e la possibilità di stare con se stessi.

Una persona sta bene quando può dire:

“ho bisogno di te”, “ma non dipendo solo da te per esistere.”

Questo equilibrio non si trova fuori:

si costruisce dentro attraverso le relazioni giuste, e a volte proprio attraverso la terapia.

Non esistiamo solo se l’altro ci guarda. Ma esistiamo meglio quando qualcuno lo fa.

Il punto fondamentale è questo:

non siamo mai creature isolate.

Abbiamo bisogno degli altri per vedere noi stessi, per riconoscerci, per crescere, per sentirci reali.

Il problema non è lo sguardo dell’altro.

Il problema è quando ne facciamo l’unico luogo possibile della nostra identità.

In terapia, lentamente, si impara che:

lo sguardo dell’altro è importante,

ma anche il nostro può imparare a sostenerci.

E allora esistiamo due volte:

nel mondo

e dentro di noi.

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