In alcune esperienze psicologiche profonde, il corpo non è vissuto come casa, ma come intruso. Un “corpo estraneo” che si subisce, si sopporta, si evita. Non è solo una questione estetica, non si tratta semplicemente di “non piacersi”: qui parliamo di qualcosa di più sottile e radicale. Parliamo di un’esperienza in cui il corpo è percepito come un peso, una minaccia, una zona di conflitto continuo.
Il Corpo come Altro-da-Sé
Ci sono persone che vivono il proprio corpo come qualcosa che non sentono davvero loro. Può accadere in modo sfumato o più drammatico:
nei disturbi dell’alimentazione, dove il corpo viene vissuto come un nemico da controllare o annullare, nei traumi, dove il corpo trattiene una memoria che la mente vorrebbe cancellare, o semplicemente nei momenti in cui si è talmente distanti da sé da non sentire più il corpo come un compagno di viaggio.
Quando il corpo è percepito come “altro”, come un oggetto che ci tradisce o ci espone, allora la relazione con se stessi si incrina.
Difendersi dal Corpo
La mente cerca di difendersi dal corpo in molti modi:
ipercontrollo (dieta, esercizio ossessivo, chirurgia estetica, isolamento), evitamento (vestirsi in modo da nascondersi, non guardarsi allo specchio), anestesia emotiva (non sentire più fame, dolore, piacere, desiderio).
Tutte queste strategie hanno lo scopo di tenere a bada il corpo, come se fosse qualcosa che può esplodere, tradire, fare male.
Eppure, questa difesa costante produce disconnessione. E la disconnessione prolungata non protegge, ma logora.
Da Corpo Estraneo a Corpo Vivente
La psicoterapia, quando entra in questa ferita, non ha come obiettivo quello di “piacersi di più” o “accettarsi” in modo superficiale. Il lavoro terapeutico consiste nel riavvicinare il corpo alla persona, nel restituire al corpo il suo ruolo di ponte tra il mondo interno e quello esterno.
Attraverso il racconto, l’ascolto, il contatto con le emozioni, si comincia a riconoscere il corpo come parte della propria storia. Un corpo che ha sofferto, certo. Che ha portato i segni della fatica, dell’abuso, del rifiuto. Ma anche un corpo che può essere riconosciuto, abitato, e forse – lentamente – sentito come “casa”.
Conclusione: Un Corpo da Riconoscere, Non da Combattere
Riconoscere che a volte il corpo è vissuto come un nemico non è una debolezza, è un punto di partenza. È un segnale importante che ci dice quanto sia urgente ricostruire la connessione con sé stessi a partire proprio da lì: dalla pelle, dal respiro, dai limiti e dalle potenzialità del corpo.
Perché non si può guarire separandosi da sé.
E non si può essere vivi, davvero vivi, se il proprio corpo resta un corpo estraneo.