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Secondo il sociologo americano William Thomas, “Se gli uomini definiscono certe situazioni come reali, esse sono reali nelle loro conseguenze”. Insomma, quando ci convinciamo di una cosa e iniziamo ad agire come se questa fosse, di fatto, reale, quella determinata cosa diventa reale.
Ci troviamo di fronte alle cosiddette profezie che si autoavverano, un meccanismo noto alla psicologia moderna che origini antichissime.

Il concetto è molto semplice: l’uomo è un essere dotato di senso che costruisce significati. I significati che diamo agli eventi che costellano la nostra vita e alle situazioni che viviamo definiscono i nostri pensieri, i nostri atteggiamenti e soprattutto i nostri comportamenti.
Il nostro comportamento infatti influenza la realtà, facendola diventare simile al nostro sistema originario di credo.
Due esempi di profezia che si autoadempie o autoavvera ci vengono dal mito di Narciso e da quello di Edipo: quando ci convinciamo di una serie di credenze, esse guidano il nostro agire fino a causare proprio ciò che temiamo di più. E questo influenza il rapporto con noi stessi, le relazioni sociali, gli affetti e la sfera lavorativa.
Se per esempio temiamo di commettere errori o fallire, probabilmente metteremo in atto una serie di comportamenti volti a prevenire questa delusione, che prevedono un minore impegno o condotte sabotatrici. Il risultato non potrebbe che essere proprio quello che temevamo di più, il fallimento.

Come liberarci, allora, di queste profezie?
Dobbiamo innanzitutto comprenderne il meccanismo. La nostra attenzione deve perciò essere allenata alla selezione: quando ci concentriamo su un oggetto o un pensiero, tendiamo a notarlo prestando minore attenzione a ciò che succede intorno a noi. Allo stesso modo, quando siamo presi dalle nostre convinzioni o idee non riusciamo a notare ciò che effettivamente succede nella nostra vita. Questa consapevolezza deve spingerci a mettere in discussione le nostre convinzioni, soprattutto se queste influenzano la nostra vita.
L’essere umano è infatti dotato del libero arbitrio, eppure rimane incagliato nella rete della consapevolezza di sé e della propria vita. Per Jung, “chi non conosce l’inconscio lo chiama destino”. Qual è quindi la grande sfida che ci aspetta? Imparare a conoscere noi stessi, le nostre credenze, ciò che ci spinge dal profondo e che portiamo con noi in un bagaglio che dirige le nostre azioni.
A guidare la vita infatti non è solo il senso che diamo a essa, ma anche fattori che dobbiamo imparare a conoscere e su cui intervenire, qualora necessario, per interpretare ciò che ci accade.
La nostra libertà si ritrova proprio in questo percorso introspettivo di conoscenza.

Se esista oppure no un destino preordinato è una domanda che l’uomo si pone sin dalla notte dei millenni, ma le nostre azioni hanno delle conseguenze. Se ci convinciamo di un’idea e ci comportiamo di conseguenza, è probabile che accada proprio ciò che temiamo. Se invece impareremo a guardare con occhio critico alle nostre credenze, saremo in grado di valutare le nostre idee, decidere se mantenerle tali oppure cambiarle e, solo allora, agire: saremo così capaci di fare tutto ciò che realmente vorremo.