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Il termine genitorialità indica in ambito psicologico le interiorizzazioni che accompagnano le funzioni biologiche dell’essere genitori. Badiamo bene, non un “semplice” ruolo, ma una funzione ben specifica anzi una capacità: quella di creare, proteggere, amare, rispettare qualcosa o qualcuno oltre se stessi, prendendosene cura, che non comporta necessariamente generare oppure allevare bambini.

Il termine, inoltre, rimanda sia all’immagine interna che ciascuno di noi ha dei propri genitori, sia alla rappresentazione del proprio figlio e di sé nel ruolo genitoriale.

Cosa influenza la genitorialità?
La genitorialità è il risultato della relazione tra madre, padre e bambino ed è condizionata da numerosi fattori:

  • modelli culturali;
  • personalità dei genitori;
  • relazioni che i genitori hanno avuto in quanto figli con i loro genitori;
  • coniugalità e/o cogenitorialità;
  • temperamento dei bambini;
  • bisogni legati all’età, fasi evolutive o problematiche riguardanti i bambini.


La genitorialità è innanzitutto elaborata fin dai primi anni di vita come componente fondamentale della persona. Inizia infatti a formarsi già nell’infanzia, quando cioè il bambino interiorizza comportamenti, desideri, aspettative, messaggi verbali e non-verbali dei genitori nasce così il “genitore interno”, interiorizzato in “modelli mentali interni”. In questo momento convergono e si strutturano le esperienze, le rappresentazioni, le convinzioni, i modelli comportamentali e relazionali, le fantasie, le angosce della propria storia affettiva.

Genitorialità come crisi evolutiva

Questa fase non è esente da ambivalenze o difficoltà. La genitorialità, infatti, impone un riassetto nella personalità dei singoli, ma si traduce spesso in un momento di crisi anche nelle relazioni tra coniugi. La riorganizzazione affettiva che segue la nascita di un figlio influenza sia le modalità di riassestamento nei ruoli di madri e padri che sulle interazioni tra madri e neonati, con impatti considerevoli sulla strutturazione delle menti di questi ultimi.

Diventare genitori, inoltre, spinge a scavare a fondo nella propria storia familiare e genera quella che Racamier definiva “crisi strutturante e maturativa”. Il futuro genitore, infatti, va alla ricerca del bimbo che è stato e/o che avrebbe voluto essere, rievoca sensazioni legate al soddisfacimento dei bisogni infantili e, basandosi su ciò che significa per lei o lui essere genitore, costruisce un processo di differenziazione rispetto ai suoi stessi genitori. L’arrivo di un figlio significa perciò fare un viaggio nel passato e, al tempo stesso, proiettarsi verso il futuro.

Quali sono, allora, i compiti dei genitori?

Numerosi sono i compiti che attendono i neogenitori e tra questi troviamo la cura del bambino, sia in senso affettivo e normativo che nel soddisfacimento dei bisogni primari, la creazione di spazi fisici e psichici, la capacità di modulare regole e concessioni sulla base delle necessità di individuazione e separazione e lo stabilire confini dentro e fuori la coppia.
Genitorialità è, perciò, quell’insieme di funzioni relazionali e dinamiche: non presuppone necessariamente la nascita di un figlio, ma passa per la creazione di uno stato – mentale e relazionale – in cui convergono fattori propri della persona che rappresenta una tappa importante del percorso maturativo della persona stessa.


Ciò che negli ultimi tempi riscontro spesso nei neogenitori è la paura di crescere e interfacciarsi con i propri figli. Il consiglio che voglio dare, proprio in occasione della Giornata Mondiale dei genitori, è quello di mettersi in discussione, affidarsi ai professionisti con coraggio e prendersi cura delle proprie fragilità per poter vivere appieno la genitorialità in ogni sua sfaccettatura.