Il senso di sé si forma nel rapporto con l’altro e l’immagine che ognuno di noi ha di se stesso si costruisce proprio sulla base della relazione con gli altri per noi significativi e sull’immagine che essi ci rimandano di noi.
Fondamentale nella formazione della propria identità è il meccanismo del rispecchiamento, studiato nei bambini sin dai primi mesi di vita. E “il precursore dello specchio è la faccia della madre”, sostiene lo psicanalista D. H. Winnicott, che si è occupato del tema nel libro “Gioco e realtà”.
Durante i primi stadi dello sviluppo emozionale, il bambino dipende dall’ambiente, che non è stato ancora ripudiato come Non-Me. Prima che diventi possibile il mondo interno, infatti, il bambino “non” esiste se non come essere dipendente dall’ambiente che è rappresentato fondamentalmente dalle cure materne, che Winnicott riassume nel concetto di “holding”. Si tratta del sostegno fisico e psicologico del lattante, tenendo conto che egli non sa ancora che esiste altro oltre al sé, che soddisfa i bisogni del bambino grazie proprio all’identificazione e all’adattamento quasi totale della madre al bambino – grazie alla sua stessa esperienza di neonata.
Quando l’adattamento della madre alle necessità del bambino è sufficientemente buono, questo dà al bambino l’illusione che la realtà esterna corrisponda alla sua stessa capacità di creare e ne sostiene il bisogno di onnipotenza. Durante lo sviluppo, il bambino deve invece iniziate a separarsi dalla madre e a diventare indipendente: la separazione dovrà essere graduale e la madre dovrà favorire il processo venendo meno, pian piano, all’adattamento totale ai bisogni del bambino. Per Winnicott, in questa fase il bambino affronta uno stadio di dipendenza relativa, di adattamento cioè a un graduale de-attaccamento.
Per definire la funzione specchio della madre nello sviluppo infantile viene nuovamente in nostro aiuto Winnicott, secondo cui “a un certo punto, viene il momento in cui il bambino si guarda intorno. Forse il bambino al seno non guarda il seno. È più probabile che una caratteristica sia quella di guardare la faccia…Che cosa vede il lattante quando guarda il viso della madre? Secondo me, di solito ciò che il lattante vede è sé stesso. In altre parole la madre guarda il bambino e ciò che essa appare è in rapporto con ciò che essa scorge”. Winnicott continua, poi, raccomandando alle madri di prestare attenzione a questi concetti per il bene dei propri figli. Qual è, infatti, la conseguenza che subiscono i figli di una mamma chiusa nelle proprie difese oppure in uno stato d’animo depressivo? Questa non riesce ad accogliere il bambino attraverso i propri occhi e l’allattamento, per esempio, diventa un gesto meccanico in cui manca il livello empatico. Essere madre significa anche accogliere il bambino proprio come fa uno specchio. Pensiamoci bene: lo specchio rende l’immagine di colui che in esso si riflette. Dal punto di vista psichico, il bambino che può guardare il viso della madre come si fa in uno specchio, ricevendo dal suo sguardo l’immagine di sé. Ebbene, questo “ritorno” costituisce il nucleo del sé, all’interno del quale il bambino crescerà e svilupperà la sua personalità. Lo specchio, dal canto suo, dev’essere in grado di riflettere l’immagine che riceve: specchi impolverati, appannati o convessi non riusciranno a rendere l’immagine così come la ricevono, anzi la deformerebbero oppure non la rifletterebbero affatto. Ciò potrebbe portare a quella che Winnicott definisce “minaccia di caos”, che non riguarda solo i primi mesi di vita. Crescendo all’interno del nucleo familiare, il bambino sarà certamente sempre meno dipendente dal volto materno in cui vedere restituito il proprio sé, tuttavia “quando la famiglia è intatta, e continua ad esserlo nel tempo, ogni bambino trae beneficio dall’essere in grado di vedere se stesso nell’atteggiamento dei singoli membri o della famiglia nel suo insieme”.
Un bambino che ha avuto un attaccamento sicuro, che nutre fiducia nell’adulto, sarà quindi in grado di esprimere i propri sentimenti, separarsi al fine di esplorare l’ambiente e accrescere le sue conoscenze e sicurezze permettendo l’espressione delle sue passioni e della sua originalità.
Non c’è, tuttavia, bisogno di essere genitori o madri perfette. L’errore fa parte della genitorialità ed è da qui che bisogna ripartire, divenendo adulti (e genitori) capaci di imparare, riflettere, riparare e ri-programmare le scelte.