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La comunicazione nonviolenta, nota anche come comunicazione collaborativa o empatica, è un modello comunicativo basato appunto sull’empatia ideato negli anni Sessanta dallo psicologo statunitense Marshall Rosenberg. Questo linguaggio consentirebbe di evitare le incomprensioni frequenti, creando contesti comunicativi che non scontentino né danneggino gli interlocutori coinvolti. La comunicazione non violenta, infatti, si fonda su abilità che consentono di coltivare il bisogno di relazioni interpersonali che siano sincere, positive e collaborative.

Scopriamo come utilizzare la comunicazione empatica, soprattutto nelle situazioni di difficoltà con i più piccoli.

Il linguaggio Giraffa

Per Rosenberg vi sono due differenti, anzi opposti, modi di esprimersi che egli denomina proprio Linguaggio Sciacallo e Linguaggio Giraffa. La scelta non è casuale: la giraffa è, infatti, l’animale con il cuore più grande e questo linguaggio ci permette di prendere in considerazione e soddisfare bisogni e sentimenti, nostri e dei nostri interlocutori.

Come si costruisce il Linguaggio Giraffa? Rosenberg individua 4 passaggi:

  • Fare osservazioni su ciò che ci piace e ciò che non soddisfa le nostre esigenze, in maniera chiara e in assenza di giudizi o valutazioni
  • Esprimere i nostri sentimenti verso i fatti che osserviamo o viviamo
  • Individuare i bisogni collegati ai nostri sentimenti
  • Formulare così richieste, fattibili e operative, che consentano all’Altro di venirci incontro concretamente.

Quali rischi per gli Sciacalli?

Il Linguaggio Sciacallo è, invece, il linguaggio delle manipolazioni. Spesso lo mettiamo in atto inconsciamente, soprattutto quando proviamo a plasmare i più piccoli a nostro piacimento affinché soddisfino le nostre aspettative. Ricadiamo così nei ricatti emotivi come premi o punizioni: i bambini, conformandosi alle nostre richieste per “meritare” il nostro affetto, saranno privati della capacità di dare e ricevere con gioia genuina.

Come crescere Giraffe amate in maniera incondizionata

Tra gli aneddoti narrati da Rosenberg, ce n’è uno dedicato ai suoi figli. Racconta di come, alla domanda “Perché papà ti vuole bene”, essi rispondessero citando i comportamenti tenuti che avrebbero consentito loro di meritare l’amore dei genitori. Impostare, invece, una relazione educativa in modo nuovo – e libero – consentirebbe ai genitori di accompagnarli con autorevolezza, considerandoli sempre per ciò che sono: persone con un’integrità e un sentire tutto loro. Non sarebbe bello per i bambini crescere con la certezza di essere amati per ciò che si è, e non per ciò che si fa?

La comunicazione non violenta rappresenta, perciò, una preziosa occasione per lavorare disinnescando le situazioni di conflitto e basando le nostre azioni su empatia e presenza. La comunicazione nonviolenta si basa anche sul potere condiviso con il prossimo, fondato su fiducia e rispetto reciproci, che rendono le persone aperte all’ascolto, predisposte a imparare le une dalle altre e a darsi volontariamente per il desiderio genuino di contribuire al rispettivo benessere. Il potere condiviso si ottiene comunicando apertamente le emozioni che avvertiamo, i valori in cui vogliamo vivere e i nostri bisogni, senza criticare l’altro. Si tratta di sforzi considerevoli, ma sicuramente meritevoli di più di un tentativo per la costruzione di relazioni sane, durature e consapevoli.